Una distesa rossa. Uno sfondo uniforme, assoluto, incombente. Un colore che evoca tensione, pericolo, allerta, ma anche energia e potenza.
E poi, al centro, un punto minuscolo, appena percettibile da lontano. Solo avvicinandosi lo si riconosce: è un omino, una figura umana che sembra aggrapparsi disperatamente a una superficie liscia, priva di appigli.
L’idea iniziale era quella di collocarlo in una situazione surreale, come se sfidasse la gravità, sospeso su un vetro liscio, trattenuto da una forza invisibile. Un’immagine che mette in discussione la logica fisica e la percezione stessa.
Poi, al centro, ho lasciato una linea quasi impercettibile, un confine ambiguo: potrebbe essere una corda a cui aggrapparsi, una fessura che si apre su un altrove, un’illusione prospettica che suggerisce una via di fuga. Ma verso cosa?
L’omino è instabile, eppure saldo. È una figura di equilibrio e paradosso, un’entità minuscola che racchiude in sé una tensione enorme.
Lo sfondo rosso è pericolo, allarme, energia, vita e morte. Non è uno spazio neutro, ma un’onda visiva che amplifica il senso di urgenza, di attesa sospesa.
È un microcosmo dentro un macrocosmo. L’omino è un punto nel nulla, ma anche il fulcro della composizione, l’unico elemento che genera narrazione, significato, movimento.
L’opera non impone una lettura univoca: è l’osservatore a dover scegliere.
Il piccolo uomo è un simbolo di resistenza o di resa?
Sta tentando di raggiungere una meta o è prigioniero di una condizione impossibile?
Forse non è lui a essere precario, ma il nostro sguardo.
