Un’esplosione di punti di colore, una superficie che si anima in un ritmo ipnotico e vibrante. L’opera si inserisce in un dialogo visivo tra due grandi artisti contemporanei, Yayoi Kusama e Damien Hirst, celebrandone le peculiarità attraverso una reinterpretazione che utilizza materia plastica di recupero.
Da Yayoi Kusama, riprende l’ossessione per la ripetizione, il concetto di espansione visiva attraverso piccoli elementi seriali. I pallini di plastica, con le loro variazioni di dimensione e tonalità, sembrano creare un campo percettivo in continuo movimento, evocando il senso di immersione delle sue Infinity Nets e dei suoi celebri polka dots. Qui, però, la ripetizione non è frutto di una pittura controllata, ma nasce dalla casualità della materia stessa: un infinito non disegnato, ma trovato, raccolto e ricollocato in una nuova armonia.
Da Damien Hirst, l’opera eredita la sua capacità di trasformare la ripetizione in struttura, in particolare il riferimento alle sue Spot Paintings, in cui il colore si distribuisce con apparente casualità, creando una sorta di sistema visivo che oscilla tra scienza e caos estetico. Qui, invece dei pigmenti su tela, abbiamo frammenti plastici, scarti industriali, pezzi di un mondo artificiale che si riorganizzano in una nuova forma di ordine.
L’insieme non è solo un omaggio formale, ma un gioco visivo e concettuale: i tappi e i piccoli frammenti colorati, dispersi nell’ambiente e recuperati diventano unità minime di un linguaggio universale fatto di ritmo, variazione e percezione. Il fondo scuro amplifica la brillantezza dei colori, rendendo i pallini simili a un cielo stellato artificiale, una galassia di plastica che riflette il nostro presente e il nostro impatto sul mondo.
