Il cielo e il mare non sono più separati. L’aria e l’acqua si confondono in una pioggia tossica, una tempesta di frammenti artificiali.
Ciò che sembra un paesaggio astratto è in realtà una fotografia della nostra epoca. La pioggia non porta più solo acqua, ma anche microplastiche, rifiuti e scarti del nostro consumo quotidiano. Piccoli bastoncini, tappi, frammenti colorati cadono indistintamente dal cielo e affondano nel mare.
Il confine tra il mondo naturale e quello artificiale si è dissolto. L’inquinamento non è più un fenomeno circoscritto: è dappertutto. Cade dal cielo, si mescola con le onde, entra nei corpi dei pesci, nei nostri stessi corpi.
L’illusione della separazione
Sopra il confine, il nero profondo sembra raccontare lo spazio urbano, la terraferma, la nostra civiltà. Sotto, il blu dell’oceano appare ancora limpido, ma è solo un’illusione: la plastica non risparmia nulla. Piove dal cielo, si deposita sul fondo del mare.
Se il cielo è sporco, il mare non può essere pulito. Ogni goccia di pioggia porta con sé la nostra impronta.
Un nuovo ciclo dell’acqua
Un tempo, la pioggia era un dono, un ciclo perfetto di rigenerazione. Ora, l’uomo ha creato un nuovo ciclo: quello della plastica. Produciamo, usiamo, scartiamo. E ogni rifiuto, ogni pezzo che lasciamo andare, non scompare. Ritorna a noi sotto forma di microplastiche nell’acqua che beviamo, nei pesci che mangiamo, nell’aria che respiriamo.
L’arte non inventa, l’arte svela. Questo quadro non racconta un futuro distopico: racconta il presente.
Viviamo già sotto una pioggia di plastica.