Montiferru bruciato

Un nero profondo avvolge la superficie, come un velo di cenere che ha soffocato la vita. L’opera non è solo un’immagine, è una testimonianza materica di un evento traumatico: l’incendio che nel 2021 devastò il Montiferru. Una foresta scomparsa, ridotta a carboni e detriti, un dolore collettivo che ha lasciato segni indelebili nel paesaggio e nella memoria.

La scelta della plastica recuperata dal mare, anch’essa segno di un’altra forma di distruzione ambientale, amplifica il senso di perdita e di trasformazione: ciò che in natura era vivo, ora è un residuo artificiale, un’impronta fossilizzata della catastrofe.

Il nero domina, assoluto e impenetrabile. È la terra bruciata, la vegetazione ridotta a scheletri, il silenzio che segue le fiamme.
Macchie di rosso affiorano qua e là, come tizzoni che ancora covano sotto la cenere, memoria di un fuoco che non si è mai spento del tutto.
Tracce di verde si insinuano tra i resti, sottili segni di vita in bilico tra la morte e la rinascita. È una vegetazione che sta morendo o che si sta preparando a resistere?

L’opera è un paesaggio carbonizzato, ma non solo: è una ferita ancora aperta, un grido silenzioso di una terra devastata, ma forse non del tutto vinta. Nel caos dei materiali emergono frammenti di un passato recente e la possibilità di un futuro ancora incerto.

Luce e ombra, distruzione e resistenza: il Montiferru è stato bruciato, ma la natura porta con sé la memoria della rinascita.