L’astronauta fluttua sereno, in un universo che sembra progettato da un bambino con troppo tempo libero e un’enciclopedia degli anni ’80. Non ha paura, non ha dubbi, forse neanche la patente spaziale, ma tutto sembra perfetto così.
Davanti a lui, il mondo segue una logica che non ha bisogno di spiegazioni.
Due ciminiere aspirano dal mare palline giganti e le sputano nel cielo come coriandoli cosmici. Sono bolle di pensieri? Biglie del destino? Caramelle giganti scartate dagli dèi? Chi lo sa. Ma è bellissimo.
Un leone cammina sopra una gabbia invece di starci dentro. Forse ha letto male il manuale d’uso. Forse ha capito tutto della vita.
Un cavallo verde trotterella sul fondale marino come se fosse nel giardino di casa. L’acqua? L’aria? I concetti non lo toccano, lui esiste e basta.
Una ruota gigante sta lì, immobile, come se avesse un ruolo importante ma nessuno le avesse detto quale. Un portale per mondi paralleli? Una ruota panoramica per le anime in vacanza? Un ingranaggio che regola il tempo ma ha dimenticato di girare?
L’astronauta osserva. Sotto di lui una linea bianca perfetta segna un confine invisibile. È il limite tra il senso e il nonsense, tra il sogno e la realtà, tra “benvenuto in questo mondo” e “prego, l’uscita è da quella parte.”
Ma lui non vuole uscire. Qui c’è pace, c’è mistero, c’è la sensazione profonda che tutto abbia un senso, anche se nessuno lo ha ancora trovato.
E mentre fluttua, sorride dentro il casco. Forse non è mai stato così felice.
