In questo assemblage, l’animale emerge come un’ombra arcaica, un cervide primordiale nato dal caos della materia restituita dal mare. I materiali plastici – scarti della modernità – si saldano alla superficie pittorica in un intreccio che richiama la decomposizione e la rinascita, il degrado e la resistenza.
Il volto dell’animale, frammentato, pare scrutare lo spettatore con un’espressione ambivalente: malinconia e forza si fondono nel suo sguardo scomposto, reso da elementi plastici dissonanti, reticolati spezzati e trame di reti, memorie di un mondo marino intrappolato nelle sue stesse scorie. Le corna, stilizzate e minacciose, sembrano farsi eco di antichi idoli, simboli di potenza ora deformati dalla spazzatura umana.
L’uso della plastica in un’opera che rievoca la natura è un paradosso carico di significato: la bellezza dell’animale si costruisce con gli stessi detriti che lo minacciano, un monito sulla resistenza della vita e sull’ingerenza dell’uomo negli equilibri ecologici. Il cervide – figura ancestrale, simbolo di libertà – si ritrova intrappolato in una dimensione post-industriale, il suo corpo non è più carne e ossa ma una stratificazione di rifiuti indistruttibili.
Il colore acrilico, colato e mescolato con le plastiche, evoca un paesaggio inquinato, quasi liquefatto, come se l’animale stesse emergendo da una palude tossica o fosse una reliquia fossile di un futuro distopico. Tuttavia, nel caos di questo materiale di scarto, resta intatta una potente spiritualità: è un totem del nostro tempo, un simbolo di resilienza che invita alla riflessione sulla necessità di una nuova armonia tra l’uomo e l’ambiente.
L’opera sfida lo spettatore a riconoscere nella plastica non solo un rifiuto, ma una testimonianza della nostra epoca, un’eredità che interroga il nostro presente e futuro. Non siamo di fronte a una semplice rappresentazione artistica, ma a un requiem per la natura violata, una denuncia che trasforma il detrito in poesia visiva e dà voce agli spiriti del mare e della foresta, sofferenti e immortali.
