Dall’alto, il mondo si comprime in una rete di superfici e percorsi. Terra e mare si sfiorano senza mescolarsi, due dimensioni distinte che fanno da sfondo a un flusso inarrestabile. Sopra di esse, un traffico incessante di oggetti in movimento, auto o persone, scorre veloce, incanalato in file ordinate e caotiche al tempo stesso.
Il moto è continuo, ritmico, quasi ipnotico. Nessuno si ferma, nessuno può uscire dal flusso. Ogni viaggio ha un punto di partenza e una destinazione, ma il tempo del tragitto è indeterminato, sfuggente, irrecuperabile.
È la metafora di un’esistenza che si consuma nella velocità, nella corsa quotidiana verso mete che non sempre scegliamo consapevolmente. Il paesaggio rimane immobile mentre il flusso lo attraversa, ma chi scorre dentro di esso non ha tempo di osservarlo, di rallentare, di deviare dalla rotta imposta.
Siamo parte di un ingranaggio più grande, in cui il movimento è inevitabile e il tempo ci spinge in avanti senza lasciarci spazio per fermarci. Come il mare e la terra, ci sfioriamo senza toccarci davvero, viaggiando a velocità sempre maggiore, fino a dissolverci nel flusso stesso.